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Prima del fuoco e della ruota, prima ancora che si levasse a dominatore del creato, l’uomo ha imparato un gesto semplice. Lo ha imparato e mai più dimenticato. La lezione primaria, l’attività più antica che da sempre compiamo, è alzare gli occhi al cielo. Non per lavoro o per ozio, ma per necessità. E’ un gesto inevitabile, quasi che, dopo essere stati intenti a guardare dove mettiamo i piedi, occorra anche che ci occupiamo di dove riponiamo i nostri sogni. Al primo gesto il maestro Antonio Balbi da Roccagloriosa dedica una lunga serie di dodici tele. Dodici come i mesi in cui si consumano gli anni, dodici come gli esseri che popolano lo zoo del cielo.
Lo Zodiaco nell’universo balbista è una ruota del cielo pensata per indagare il legame profondo che ognuno di noi mantiene con quelle luci lontane. Guardandole, mentre da distanze cosmiche fotografano le nostre vite, pare che l’intero universo esista per conservare memoria di noi. Le stelle sono flash, sono il bagliore d’istantanee che svaniscono in un batter di ciglia, ma, in realtà, durano più della somma di tutte le nostre vite e continueranno a splendere anche dopo che il nostro mondo si spegnerà.
Il nostro viaggio inizia con la nostra venuta alla luce. Il rapporto con le stelle sembra preesistere a quest’evento, tanto che i bambini piangono appena partoriti, perché nel momento in cui compaiono al mondo si trovano un soffitto e un chiarore che non è di stella e gli è così impedito vedere il buon astro sotto cui sono nati. Reclamano il legame primario col cielo, ma si abituano, crescendo, a considerarsi oggetti, cose prive di luce e di spiritualità.
Il maestro Balbi, allora, costruisce dodici porte, dodici stargate, perché ognuno abbia un portale per sollevarsi e, levandosi verso il sole, intraprenda il suo personale cammino verso il suo angolo di cielo. Serve mestiere per oltrepassare il velo di Maya, serve la forza di un artigiano per aprire un varco dentro la parete e dischiudervi dietro l’universo.
Se il mondo materiale in cui viviamo non ci sembra abbastanza, allora possiamo accettare l’invito del Balbi: lancia una lazo e afferra quella stella e poi fissala a qualche tronco d’albero possente. Salici sopra e comincia il tuo viaggio verso lo zodiaco. Potrai scegliere tu il tuo passo, e, mettendo un piede davanti all’altro, prenderai quota dal pianeta di cui sei fauna per immergerti un mare che non conosci, ma che si muove sopra la tua testa e di cui tu sei creatura di luce.
Le centinaia di scritte che compaiono sulla tela sono la via per le stelle ideata dal maestro di Roccagloriosa. Sono fasci di comete che celebrano il segno cui è dedicata ogni opera e sono composte dalle lettere che formano il nome dell’artista. Al centro compare il protagonista della costellazione. La sua figura è svelata da un universo profondo, quasi riemergesse dal mare infinito dentro il quale da sempre corre.
Sì, perché l’universo è movimento e, nell’architettura celeste creata dal maestro Balbi, il moto degli astri diviene un viaggio. Ognuna delle dodici figure si muove verso l’osservatore invitandolo a raggiungerlo a metà strada tra i sogni e la tela. Lì s’incrociano l’uomo col suo destino, la vita con la sua fortuna.
Ma il futuro che il maestro da Roccagloriosa ha creato per ognuno di noi, non è un domani fatto d’incertezze e preoccupazioni. E’, invece, un avvenire sempre gentile, quasi paterno quello che aspetta chiunque osservi questa serie dello Zodiaco. Le figure sono festose, allegre e invitano chi le guarda a ritemprare le proprie energie attraverso un gioco che non ha regole, ma che come la vita dev’essere giocato fino in fondo.
Il mondo dell’arte ha spesso rappresentato il cielo come una volta complessa, come una lavagna nera in cui s’insegnava la matematica dell’universo. A quella rappresentazione l’uomo non poteva che contrapporre milioni di domande senza risposta, finendo per soccombere sotto il peso di tutto quel silenzio. Il maestro Antonio Balbi ha scritto un nuovo paradigma, dove il dipinto dagli astri non può che essere felice. Perché chi ama le stelle, non ha paura del buio.


Giovanni Rodini