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Il balbismo è una moneta dalle tante facce. Due dimensioni non bastano a descrivere il mondo. Nemmeno la terza, quella dell’effetto 3D inventato dal maestro Balbi, delinea compiutamente la complessità delle cose. Occorre un trucco, occorre un artificio. In un mondo dove la pubblicità ingannevole è l’anima del commercio e forse non solo di quello, serve andare a mercato preparati per poter competere e diventare i bulloni più grossi del Macchinario.

C’è un telone grande quanto il mondo, dove tutto questo accade ogni giorno. Si trova in un posto che tutte le mappe collocano laggiù. Non importa da dove parti, né dove ti trovi, prosegui sempre dritto e vai laggiù, che già ti stanno aspettando! E’ là che si ammucchiano tutti, è quella la destinazione di ogni suola, di ogni vela o paio d’ali che senza colpa sia stato condannato a stare al centro del mondo senza essere da nessuna parte.

Questo il palcoscenico, questa l’arte che il maestro Antonio Balbi ha ritratto nel suo ciclo Il Circo della Vita. Ma state attenti, che la recita non è gratuita: saranno cari i prezzi degli incanti e dei fuochi fatui, cocenti le delusioni dei disincanti e sopratutto servirà fatica per sorridere sempre all’occhio di bue, per poi mostrare i denti anche quando si dorme. Il pericolo è quello di trovarsi dietro a quelli che sgomitano senza tregua. La ricompensa son qualche spicciolo di una moneta sempre in corso, il più valoroso dei coni, che qui chiamano applausi.

Nel circo del Balbi quel che conta è vedere il mondo, esserne al centro ma riuscire a restargli nascosto. Mostrarsi senza scoprirsi. Apparire senza esserci. Questo è il palcoscenico dove la moltitudine è alla ricerca continua di una conferma, di un biscotto preso al volo come ricompensa, dove conta solo quel che pensa la gente anche se la gente ha pensieri cupi. Qui anche tu hai una parte, pagliaccio o messia non ci importa. Questo è il luogo dove per quanto ti impegni ci fai solo ridere, dove sembri l’unico a non aver capito che la vita è una farsa, lo spettacolo che devi al mondo per esserci entrato senza preavviso.

Il maestro da Roccagloriosa ci fa riflettere su come la vita degli uomini sia un continuo arrendersi a questo star system da avanspettacolo, a questo fissare per terra che definiamo sistema stellare e che ci impedisce di ambire al cielo. I bambini degli uomini vengono al mondo con le mani distese. Sembrano tutti già arresi; mani in alto e sguardo a me! Il prestigiatore non ama i distratti, vuol che tutti siano parte del suo trucco, tutti consapevoli che son carte da prestigio, corpi che con il loro essere spettatori danno senso a ciò che senso non avrebbe, pedine che scivolano ordinate e ben sedate, perché non possano opporsi al nastro che tutti trasporta dentro al Circo della Vita.


Questo nastro ci trasporta tutti dentro al tendone e ci trasforma in pubblico da gladiatori. “Nel circo corre un’aria di mattatoio”, diceva Fellini, che di quel mondo è stato un osservatore di ineguagliabile sensibilità. “Vi sono la follia e le esperienze terrorizzanti. Eppure il tendone e quell’odore di bestie hanno per me qualcosa di familiare. La minaccia di morte, l’emozione di simili spettacoli si riallacciano, certamente, alle esperienze dell’antico Circo Massimo. C’è il sangue in mezzo alla segatura”.

Già, c’è il sangue dentro al tendone del maestro di Roccagloriosa. Nascosto dietro alla capacità liberatoria che si esprime in una risata, dietro al gesto ben studiato del clown, corre silenzioso nei sacrifici di bestie e uomini che tirano tanto la cinghia nel tentativo di apparire felici, che con quelle corde si procurano ferite profonde.

E’ un’architettura da “dedalo di corte” questo circo del Balbi. Ci sono le corde che tengono in tensione i teloni, quelle che si aggrappano al suolo con picchetti metallici e corrono tra asole e occhielli da una parte all’altra dal perimetro del tendone. Ci sono quelle su cui occorre imparare a camminare in equilibrio, stando attenti che gli sguardi degli altri non ci buttino a terra, ridicolizzando così il nostro dolore e la nostra fatica. Talvolta ci sono anche delle reti di corde, dove, se abbiamo fortuna, possiamo franare dopo una caduta.


Le corde e la loro valenza simbolica, sono dunque una delle chiavi interpretative che meglio svelano la natura del Circo della Vita nelle tele del Balbi. I perimetri delle figure, umane e animali, sembrano costruiti con sottili corde bianche. Corde luminose che svelano i pieni e i vuoti dentro al tendone. Corde di luce tutte figlie del loro sole, quel fascio di luce che come una corda salva dall’oblio il protagonista del momento. Si chiama occhio di bue ed è una delle monete, dentro al circo del Balbi, per le quali tanto si fatica.


Dentro a un tendone buio, la ricompensa è dunque una luce artificiale, la luce che indica al pubblico in che direzione occorre guardare per emozionarsi e dare senso al loro tempo. La luce è una corda di salvezza lanciata in direzione di qualcuno in difficoltà. Nella visione balbista del mondo, le corde sono un elemento vitale. Pare ce ne sia una principale, che da un’estremità prende la forma di un cordone ombelicale, dall’altra quella di un cappio da impiccagione. Su tutta la sua lunghezza di questa corda centrale prendono vita, come ruscelli che diventano fiumi, innumerevoli emissari che danno forma a un’infinita radice. Questa, correndo in ogni direzione dentro terra, ogni tanto cresce in superficie come un pilastro da tendone, perché al Circo della Vita non si sottragga alcuna porzione di mondo.


Una delle magie che accompagna l’apparizione del tendone del maestro di Roccagloriosa e del suo piccolo popolo girovago, è che nessuno sa da dove vengano queste figure, nessuno nemmeno sa dove se ne andranno una volta che la carovana sparirà nel nulla. Il Circo della Vita è come un fungo che si materializza davanti allo spettatore, lo trascina in uno spazio diverso, lo stordisce tra musica, luci e vestiti colorati per creare un legame tra l’oggetto appeso al muro e l’esperienza artistica che si sta vivendo. Lo stordisce come un fungo allucinogeno. Il risultato è che dentro a quel tendone valore e costo si confondono. Il valore supremo della vita acquista un prezzo e si rende oggetto di mercato. Il tempo, allora, verrà speso solo per acquistare visibilità e nessuno reciterà la sua vita, mentre tutti vivranno una pantomima.


Il telone raccontato dal maestro Balbi non ha portoni, qua non si bussa per entrarci e non basta il tempo di un’intera vita per trovarne l’uscita. Questa è la gabbia senza sbarre che ti costringe a cercare un’evasione fatua, arruffata nei suoi gesti eclatanti, dove io esisto solo se mostro l’eccesso del mio dolore, del mio odio, della mia sofferenza, la stessa che non esisterebbe se voi non foste venuti qui a pretendere le mie lacrime.

Il Balbi non condanna, ma nemmeno assolve. Questa grande recita che va in scena nel suo Circo non gli procura alcun piacere. Lui non è il carnefice del mondo. Lui è solo l’uomo che quando si è scoperto stanco di rappresentare il nulla, ha deciso di raccontare la condizione di quelli che scalpitano dentro al tendone. Il maestro ha ritratto, ha tratto a sé la rete sulla quale era inciampato mille e più volte e con quel filo di corda circense ha riportato sulle tele quel che ogni giorno va in scena dentro al Circo della Vita.

L’artista ha ora la curiosità tipica di chi, ancora prima che osservatore, era stato parte dei capannelli dei curiosi e, nelle vesti di spettatore, dei giochi collettivi, nella convinzione che occorresse conoscere il mondo, senza sentirvisi estranei. Il maestro sa quel che serve per raccontare l’uomo: la vita, come lo spettacolo dentro al Circo, è una rappresentazione delle emozioni di cui non è possibile fruire da soli.

Pertanto, venghino Signori, venghino! Che qui, tra queste tele, si racconta del mondo in cui vivete. Qui ci siete tutti anche senza volerlo. Questo è lo spazio dove colombe e conigli, belle fanciulle e carte non si celano, si mostrano tutti al vostro sguardo. Queste tele sono i vostri occhi trasformati in pertugi per vedere la gente al di là del velo, per poter essere anche voi persone e personaggi in un grande gioco che ha come unica regola sopravvivere alla chiusura del sipario. Ma dopo che il sipario sarà calato, voi sapete dove andare? Noi pensiamo di no.


Giovanni Rodini