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Da qualche parte in quest’edificio c’è una bomba ad orologeria che ticchetta di nascosto. Prima o poi smetterà di farlo e l’esplosione che ne scaturirà mieterà le sue vittime. Per ora si sente solo il rumore delle lancette che scavalcano i secondi. E’ un rumore metallico, sinistro e proviene da una di quelle cose pericolose che ci attardiamo ad ammirare invece di fuggire via di corsa. Consoliamoci: per quanto lontano ci si affretti ad andare, non si riuscirebbe a rimanerne indenni. Il fatto è che la bomba non è stata innescata solo qui. A dar retta ai numeri, ce ne sono parecchie in ogni edificio pubblico d’Italia. Ed è una fortuna che il nostro ordinamento giuridico non punisca la corruzione privata, altrimenti sarebbero molti di più gli edifici in pericolo.
Corruzione è infatti il nome di quella bomba a orologeria che s’innesca ogni qualvolta un “pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio indebitamente riceve, per l’esercizio delle sue funzioni, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa”. Corruzione è il nome di quella catastrofe endemica che ci costa quanto una guerra.
Si tratta di una cifra talmente folle che gli studiosi stanno ancora cercando di quantificarla, ma che per certo si calcola in miliardi 585 miliardi di euro è il differenziale tra i costi della corruzione in Italia e i costi in Germania, secondo il calcolo condotto nel 2016 dal professor Lucio Picci dell’Università di Bologna. Sempre secondo gli studi del professor Picci, “la corruzione erode i fondi pubblici in maniera difficilmente quantificabile, ma si tratta di un importo che se fosse ridistribuito agli italiani, farebbe aumentare il loro reddito pro capite di 10.607 euro all’anno”. Altri numeri li indica il professor Ugo Arrigo, economista dell’Università Milano Bicocca, il quale è giunto alla conclusione che se si adottassero in Italia i parametri di spesa francesi si sarebbero dovuti spendere 8,9 miliardi l’anno, meno della metà di quanto compare sui libri contabili del nostro Stato (17,8 miliardi).
Sempre a trattar di numeri, la corruzione ha una cifra nera elevatissima. Per cifra nera dobbiamo intendere la differenza fra i delitti commessi e quelli denunciati. Ci sono reati dove la cifra nera è prossima allo zero: chiunque subisca un furto d’auto, per esempio, corre a denunciare l’accaduto alla autorità competenti. Con la corruzione accade raramente. Se nonostante questo, tutti i giorni i mezzi d’informazione danno notizia dell’avvenuta commissione di questo tipo di reato, questo è ben lo specchio di quanta ce sia realmente. E quel che è peggio, è che i corrotti sembrano non avere più paura delle sanzioni minacciate. Nei pochi casi in cui si arriva a una sentenza di condanna definitiva, potrebbe sorprendere come si svolgono realmente le cose. Per capirlo basta indagare come siano state punite nelle ultime decadi le persone riconosciute colpevoli.
Da uno studio condotto qualche anno fa, emerge che, tra le condanne inflitte dal 1982 al 2012 per corruzione, il 96% erano sotto la soglia della sospensione condizionale della pena. Il residuo 4% era così diviso: 2% era sotto i 3 anni quindi con affidamento ai servizi sociali, per il restante 2% è intervenuto un indulto che ha ridotto le pene di tre anni, tanto che in pratica quasi nessuno è andato in carcere per questo reato negli ultimi trent’anni. Tanto per capirci, su una popolazione carceraria di oltre cinquantaseimila individui, l’anno scorso meno di 228 detenuti stavano scontando una condanna per condotte riconducibili a quanto previsto e punito dall’art. 318 del nostro codice penale. Va però precisato che in quello 0,6% vengono anche conteggiati i detenuti per riciclaggio, insider trading, falso in bilancio, aggiotaggio e altri reati finanziari.
Com’è possibile che a fronte di un danno che in molti stimano attorno agli 80 miliardi di euro annui, solo qualche decina di persone stia scontando una pena detentiva per corruzione? I motivi saranno anche molteplici e se ce ne andiamo a pascolare nel vasto campo delle teorie e degli assoluti e massimi sistemi rischiamo pure di individuare ragioni storiche, sociali o antropologiche a cui dare la colpa, per poterci credere ancora una volta di più le vittime e non i fautori dei nostri mali. La verità è che una risposta c’è, ma non è di quelle capaci di dispensare allegrezza.
“La difficoltà principale nel contenimento della corruzione è determinata dal fatto che negli ultimi vent’anni l’attività principale della politica, di quasi tutta la politica, senza apprezzabile distinzione tra le differenti casacche, non è stata quella di contenere la corruzione, bensì è stata quella di contenere le indagini e i processi sulla corruzione” (Piercamillo Davigo, Il sistema della corruzione, Laterza – 2017).
La repressione concreta della corruzione, al netto di ogni dichiarazione d’intenti propagandistica, si è risolta in questo: sono state adottate leggi che rendevano inutilizzabili le prove acquisite, sono stati cambiati i reati contestati, sono state fatte leggi che prevedevano che non si potevano processare coloro che ricoprivano determinate cariche pubbliche, si è assistito a una diminuzione dei termini di prescrizione e si sono ammorbiditi anche gli effetti penali delle condanne comminate.
Ad oggi, la nostra normativa in tema di corruzione è del tutto inidonea a fronteggiare l’emergenza. Dobbiamo tenere conto che la nostra corruzione è seriale e diffusiva. Chi si macchia di questo reato tende a commetterlo ripetutamente, diventandone un esperto, quindi più difficile da perseguire, poiché lo mette in pratica tutte le volte che ne ha occasione con ragionevole certezza di farla franca. Da qui egli si adopera per creare un ambiente favorevole alla sua impunità, coinvolgendo anche terzi per perseguire il suo obiettivo. Pertanto si crea una situazione che diventa intollerabile
per le persone perbene, che sono costrette ad adeguarsi, a chiudere un occhio o ad andarsene.
Questa situazione di corruzione diffusa ha finito per contagiare ogni ambito della nostra vita, fino ad innalzarsi a sistema. Siamo arrivati a un punto in cui la corruzione è diffusa a tutti i livelli della vita economica, civile e politica. Si è elevata a consuetudine negli scambi di favori, nello sfruttamento di risorse pubbliche a vantaggio di interessi privati, ha assunto la postura che hanno i mafiosi ed elegantemente ora si muove e si atteggia in ogni dove, menando vanto delle sue gesta, tanto che una sorprendente fetta di italiani tollera, approva o peggio nutre questo sistema.
Ma cosa succede in concreto a un paese che fa della corruzione la sua regola? L’imprenditore che corrompe per ottenere un favore e accrescere la sua attività, finisce a lungo andare col falsare il mercato: in un sistema siffatto non saranno le aziende più competitive quelle che riusciranno a imporsi, ma quelle che meglio corrompono. Se si distraggono risorse per corrompere qualcuno, se ne avranno di meno per garantire una certa qualità dei prodotti e servizi. Sempre nel tentativo di recuperare i soldi spesi in mazzette, la retribuzione dei lavoratori finirà per non essere proporzionata alla qualità e alla quantità del loro impiego e per certo non sarà sufficiente ad assicurare quell’esistenza libera e dignitosa imposta dall’art. 36 della nostra Costituzione. Su un altro versante, il funzionario che si fa corrompere si abituerà a un compenso che non gli è dovuto e finirà per pretenderlo anche da chi non è disposto a pagarlo, rischiando così di vedersi contestare una concussione. Non solo, condotte di mobbing verranno riservate a tutti i funzionari che si rifiutino di accettare denaro o favori illeciti e le persone oneste pagheranno con la loro carriera questa loro ritrosia ad adeguarsi alla casta dei corrotti. La politica, per far fronte ai costi enormi a cui si è abituata, accetterà anche le donazioni delle aziende che hanno fatto la loro fortuna grazie a questa prassi. Ne deriverà che la scelta dei candidati e di alcuni esponenti di spicco dei diversi partiti verrà fatta tenendo anche conto della loro compiacenza o tolleranza al fenomeno in esame, tanto che gli eletti finiranno per proporre leggi che trattino con favore la corruzione, legiferando esattamente nella maniera in cui è stato fatto negli ultimi decenni. La collettività finirà col pagare di tasca sua tutto questo girotondo di bustarelle perché i servizi offerti, paragonandoli con quelli degli altri paesi, saranno molto più cari seppur spesso più scadenti. Vi ricorda mica qualcosa?
Tra pochi giorni Transparency International, la più grande organizzazione a livello globale contro la corruzione, pubblicherà la ventitreesima edizione annuale dell^indice di percezione della corruzione (Corruption Perceptions Index – CPI). L’anno scorso l’Italia si è piazzata al sessantesimo posto su 176 paesi. In Europa siamo finiti terzultimi, seguiti solo da Grecia e Bulgaria.
Chissà se il report per il 2017, che verrà reso noto il 21 Febbraio, costringerà nostri partiti a trattare la questione in campagna elettorale o se i numeri del CPI ci scivoleranno addosso come ogni anno. In un paese talmente corrotto, dove si acquista la reputazione di persona perbene limitandosi a non fare del male, il rischio che non si presti orecchio alla sirena del CPI è piuttosto alto.
Nel mentre nemmeno facciamo più caso a quel ticchettio che quotidianamente scandisce il tempo che resta ai palazzi della cosa pubblica, sempre meno sorpresi dall’ennesima esplosione. Riuscire a vivere tra le macerie non è motivo di vanto per nessuno, fare spallucce e tirare dritto ancora meno.
Eppure Orwell ci aveva avvertiti: un popolo che si affida ai corrotti non è vittima, è complice.

Giovanni Rodini

http://francofortenews.com/tutti-numeri-della-corruzione-italia-parte/