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Introduzione
Non sono ancora radicati nella cultura italiana, ma sono in aumento anche nello Stivale, i
concorsi di bellezza riservati alle bambine. Si tratta di vere e proprie competizioni, sulla falsa
riga di Miss Italia, e vedono come contendenti bimbe piccolissime, che in alcuni casi hanno un
solo anno d’età. Ed è così che un numero crescente di bambine si affronta in passerella tra
prove di canto, ballo, interviste alle concorrenti e sfilate con ogni tipo di indumento, da quello
a tema (in stile western, per dirne uno), fino alla prova costume.
Tutto sereno e tranquillo? A noi pare di no...
Baby Boom!

Uno sbuffo di vapore sibilò forte dal beccuccio di metallo. Il fischio rimbalzò per tutta la cucina
e schizzò fuori nell'altra stanza del bilocale. Anna smise di fissare il vuoto e si diresse verso il
fornello elettrico per togliere il bollitore dalla piastra incandescente. Prese una grossa tazza e
vi versò l’acqua calda. Allungò un braccio verso una mensola di legno, recuperò due buste di tè
e le lasciò annegare. Poi tornò sulla sua poltrona, soffiando distratta sul vapore della tazza, si
sedette e ritrasse le ginocchia al petto. Si rannicchiò e riprese a fissare il vuoto.
Sul tavolino di vetro, davanti alla poltrona, c’erano alcune riviste con copertine patinate, dove
ragazze dai corpi avvenenti si mostravano con generosità, fissando con aria di sfida i lettori. In
diverse di quelle copertine c’era la sua foto. Sì, Anna era davvero bella.
Se n’era accorta molto presto. Tutti quei ragazzi che le giravano attorno al primo anno delle
medie e sopratutto gli sguardi dei papà delle sue compagne di classe, le avevano fatto capire
che aveva qualcosa che alle altre mancava. C’era qualcosa di prezioso che le correva dentro,
qualcosa che lei non poteva controllare ma che nemmeno poteva evitare.
Ancora prima di compiere diciotto anni, aveva iniziato a posare per diverse riviste. Ma non era
successo tutto “per caso”, come per molte delle sue colleghe, che, “camminando per strada”,
erano state notate da un agente. Anna aveva iniziato con un concorso di bellezza per bambine.
Si chiamava Baby Boom, andava in onda su una rete locale e si affidava a una “giuria di esperti”
che decideva qual era la bambina più bella e la premiava con trucchi, vestitini e la possibilità di
lavorare in televisione. Nessuna delle concorrenti poteva avere più di dieci anni e tutte
dovevano impegnarsi in diverse prove, come fosse un concorso tra adulte.
A Baby Boom le bambine dovevano atteggiarsi per davvero da adulte. Non solo il loro aspetto e
le prove con cui gareggiavano erano le stesse delle loro colleghe più grandi, ma anche il genere
di domande che venivano loro rivolte, sembravano dirette a concorrenti con qualche anno in
più. Così capitò che, all'età di otto anni, Anna si era ritrovata per la prima volta davanti a un
pubblico televisivo e, richiesta su “come dev'essere il tuo ragazzo ideale?” e su “come ti
vestiresti al tuo primo appuntamento con lui?”, si sentiva pronta a ripetere le risposte che nei
giorni precedenti aveva provato con sua madre.
Quella sera, davanti alle luci dello studio e a un pubblico che l’aveva accolta con un “caloroso
applauso”, Anna si era presentata con il suo corpo da bambina “impreziosito” da un bikini
azzurro. Qualche giorno prima, sua madre aveva apportato delle modifiche al top, imbottendo
le coppe del reggiseno, perché sua figlia potesse esibire una seconda, che a quel tempo ancora
non aveva. Anche le altre bambine avrebbero per certo utilizzato sotterfugi, forse anche più
maliziosi di quello; non si poteva arrivare impreparate.
Quando Anna si trovò davanti ai giurati vestita come una sexy coniglietta, rispose con il tono di
voce che sua madre le aveva insegnato. Si morse le labbra con malizia ogni volta che faceva una
pausa, per far credere che stesse pensando a cosa dire. Sua madre era stata molto abile e l’aveva
preparata al meglio.
Come entrambe speravano, dopo quelle due domande le venne chiesto di camminare in lungo e
in largo sul palco dello studio. Bastò quella breve sfilata per chiarire a tutti che Anna non era

una bambina come le altre. Mentre le sue coetanee stavano tremando dal freddo con i loro mini
bikini imbottiti e le loro madri guardavano l’ultima arrivata che spazzava via i loro sogni di
gloria, la madre di Anna baciava il crocifisso che le pendeva dal collo e lo pregava affinché i
giudici le concedessero il privilegio raro di una terza domanda.
Fu dopo che un fotografo robusto aveva immortalato ripetutamente i suoi glutei da bambina,
che la giuria decise che aveva ancora un’altra domanda per lei. Anna era vicina a vincere al
primo tentativo. Avrebbe potuto aspirare a una partecipazione continua nello spettacolo. Forse
sarebbe diventata una delle vallette di Baby Boom!
Le mamme delle altre bambine imprecarono a bassa voce e dietro le quinte si ebbe
l’impressione che i giochi fossero fatti. Ma occorreva ancora vedere come quella bambinetta se
la sarebbe cavata con la terza domanda. Tutte le femmine, adulte o bambine, che si aspettavano
qualcosa da quel concorso, si zittirono e fissarono Anna a denti stretti, sperando che “sta
stronza” sbagliasse totalmente la risposta. Erano una bambina di otto anni e sua madre contro
il resto del mondo. Niente di nuovo per loro.
Allora uno dei giudici si rivolse ad Anna e, con fare severo, come se si decidesse con quella
domanda la lode a un esame universitario, prese a parlare: “Mi raccomando, pensaci bene, ché
è importante. Tu sei quel tipo di ragazza che si fa baciare al primo appuntamento?” Ci fu un
mormorio chiassoso tra il pubblico e si sentirono le risate di uomini eccitati e curiosi: tutti
volevano sapere di che pasta era fatta l’ultima arrivata. Fu allora che Anna tirò fuori un
coniglio dal cilindro. Si portò la mano alla bocca e si morse la punta di un dito, che pareva
qualcos'altro, poi, sorridendo con malizia e senza mai levarsi il dito di bocca, disse: “Credo di
sì... Beh, le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto!” Ci fu un boato; era nata
una stella!
Persa nell'entusiasmo che la sua risposta aveva suscitato, era riuscita a non pensare al freddo e
all'imbarazzo che provava a starsene in mutandine e reggiseno davanti a un pubblico eccitato e
desideroso di vedere il corpo di una bambina senza vestiti. Sua madre aveva pianto per
l’emozione e l’aveva abbracciata nello stesso modo in cui lei stringeva la sua bambola preferita.
Attorno a loro un pubblico festante, mentre, dietro le quinte, le altre madri se la prendevano
con le loro figlie, incolpandole per qualche errore, oppure si sbracciavano in direzione della
giuria quasi a lamentare qualche irregolarità.
Il tè caldo stava per finire e Anna era ancora accovacciata a fissare il vuoto, quando le venne in
mente, per l'ennesima volta, la premiazione di quella sera. Da qualche parte c’era ancora una
foto che la ritraeva coricata, col suo bikini azzurro, direttamente sulle ginocchia dei quattro
giudici che l’avevano scoperta. Loro erano seduti uno di fianco all'altro e creavano una
panchina di carne maschile. Lei si coricò come le avevano detto. Sua madre, ora seduta in prima
fila, la incitava a fare come loro volevano e ancora non smetteva di piangere. Poco dopo Anna si
tirò in piedi e subito venne invitata a sedersi sulle ginocchia del giudice che l’aveva onorata con
la terza domanda, la stessa che aveva sancito la sua vittoria. Lei si sedette lì sorridendo. Ma
presto il sorriso scomparve.
Una volta finito il tè, Anna si asciugò le lacrime. Aveva pianto a dirotto. Talvolta le capitavano
questi momenti di sconforto. Allora si ritrovava a fissare il vuoto e rivedeva sua madre, in
lacrime per quella vittoria, mentre il pubblico in delirio copriva la voce di quel giudice. Lui le
parlava quasi senza muovere le labbra, sorrideva alla telecamera e la teneva incollata alle
proprie ginocchia, premendo i fianchi di lei verso il basso. Le respirava dietro alla nuca e le
annunciava quello che lei sarebbe diventata per lui. Poi l'uomo fece scivolare la sua mano
destra lungo la schiena della bambina, scese fino a stringere il tessuto degli slip azzurri e iniziò
a tirarlo lentamente verso l’alto. Trotterellava le gambe al ritmo degli applausi del pubblico che
sorrideva insieme a lui, e, mentre lei gli saltellava sulle gambe, lui continuava a tirare il tessuto
delle mutandine di Anna verso l’alto. “Ci rivedremo spesso”, le disse lasciandola andare.
Nessuno si accorse di niente. Né quella volta, né tutte le altre. Aveva ragione lui: si sarebbero
rivisti molte altre volte ancora.


Giovanni Rodini