Logo




L’editrice di Mundi Live, la Dottoressa Margherita Chiara Immordino Tedesco, ha incontrato Sua Eccellenza Monsignor Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, a margine del convegno indetto dal Parlamento Internazionale della Legalità, che si è tenuto lo scorso settembre in Sicilia. L’occasione ha permesso di conoscere la storia della Cattedrale di Monreale, “la più bella del mondo”, come l’ha definita il Santo Padre Papa Francesco. E’ stato anche un incontro utile per capire dalla sua viva voce come Mons. Pennisi dedica la sua vita alla sua comunità. Celebrare la Messa nella Cattedrale di Santa Maria Nuova è una grande emozione e da questo gioiello di architettura religiosa vogliamo partire.

C’è in Italia una cattedrale di pietra e oro che poggia su un paesaggio collinare e decora la regione più bella d’Europa. L’hanno costruita per volontà di un Re Normanno, quando nel tredicesimo secolo la monarchia degli “Uomini dei Nord” s’instaurò nel cuore del Mediterraneo e prese casa in Sicilia.

Guglielmo II, nipote di Ruggero II, valutò con cura dove edificare il suo tempio. Alla fine scelse un territorio assolutamente appartato in una zona collinare a sud est di Palermo, una regione difesa alle spalle dalla mole del Monte Caputo e dominante la valle dell’Oreto e l’immenso e fertile agrumeto della Conca D’oro.

Ma Guglielmo II scelse bene anche il resto. Ogni cosa nella costruzione della Cattedrale di Santa Maria Nuova fu frutto della sua profonda devozione alla Madonna; ogni cosa fu il desiderio di creare lì il punto d’incontro tra Terra e Cielo, la volontà di far fiorire un pezzo di Paradiso in quel lenzuolo di terra, perché gli uomini potessero vedere da vivi di che fattura è fatto il Regno dei Cieli.

Tra le stesse pareti della Cattedrale, in preziosissime opere d’arte, è narrata la leggenda dell’origine del Duomo. Vuole il mito che la Madonna, apparsa in sogno allo stesso Guglielmo, gli suggerisse di edificare una chiesa con il denaro celato dal padre in un nascondiglio di cui lei stessa indicò l'ubicazione. Realizzando il desiderio della Vergine, il monarca fece scavare sotto un albero di carrubo e lì trovo un tesoro di monete d’oro con cui diede inizio ai lavori di edificazione.

Andando avanti in questa narrazione per tabulas, si arriva alla raffigurazione della morte del giovane Re: c’è una Parca che taglia il filo della vita e la Sicilia che piange per la perdita di quello che allora chiamavano Guglielmo il Buono, uomo di profondissima fede e molto attento alla vita dei suoi sudditi. Nella Cattedrale è possibile vedere la tomba di Re Guglielmo II e vi sono testimonianze artistiche preziose, come un Angelo che scrive le opere buone del monarca nel Libro della Vita. Infine è degna di nota anche la raffigurazione del sovrano mentre viene accolto in paradiso dalla Madonna. Lì si legge: Sic itur ad Astra, così si va in paradiso.

Il professor Mirko Vagnone, dell’Università di Friburgo, che è un dei maggiori conoscitori di Guglielmo II, ha dimostrato attraverso precisi documenti che la costruzione del Duomo non fu una scelta dettata da motivi politici, bensì un’opera ispirata da una profonda devozione alla Madonna.

Attorno a questo nucleo architettonico religioso, costituito dal Duomo, dal Palazzo Arcivescovile, dall’Abazia e dal Palazzo Reale, nacque a successive ondate la città di Monreale. Oggi il complesso di Monreale è retto da diverse autorità, tanto laiche quanto religiose. In particolare il Duomo è gestito dalla Chiesa Cattolica, il Chiostro dalla Regione e tutto il resto è di competenza del Comune di Monreale.

Da febbraio 2013, su nomina di Papa Benedetto XVI, a prendere possesso dell’Arcidiocesi di questo piccolo borgo siciliano è Sua Eccellenza Monsignor Michele Pennisi. Lui è un uomo di profondissima fede, un servitore della Chiesa in terra di Sicilia. Già Vescovo di Piazza Armerina e insigne studioso di Teologia e Filosofia, Mons. Pennisi sente su di sé tutta la responsabilità che la sua carica comporta.

Nel raccontare della sua funzione come Padre Spirituale di una comunità dove la religione è ancora vissuta come un elemento del quotidiano, Mons. Pennisi non nasconde la profonda emozione che prova durante la celebrazione della Santa Messa.

“Ciò che la Liturgia canta è raffigurato dentro la Cattedrale attraverso i mosaici di Monreale. Ognuno, durante la funzione eucaristica, può vedere come l’espressione “insieme agli Angeli e ai Santi” sia resa benissimo tra queste mura, dove di Santi ne sono raffigurati più di 250”.

Ed ecco come attraverso un capolavoro di architettura religiosa sia possibile sentirsi partecipi della Liturgia Celeste. Ogni cosa nel Duomo di Monreale è un’anticipazione del Paradiso: la piazza antistante si chiamava Piazza del Paradiso, l’ingresso della Chiesa si chiama Porta del Paradiso e gli stessi pavimenti originari vogliono raffigurare un giardino, che è il giardino dell’Eden.

Questa emozione fortissima, accomuna chiunque si sia trovato a ricoprire l’incarico che oggi tocca a Mons. Pennisi, a ogni suo predecessore, come il Cardinale Torres e altre importanti personalità della Chiesa Cattolica.

Il Duomo non è un museo, è una Cattedrale, un edificio che raggiunge il culmine del suo splendore quando si celebrano le funzioni sacre, come ha intuito Romano Gardini, visitando nel 1929 questa Cattedrale durante una Settimana Santa. Egli scrisse: “Noi del nord pensavamo che la fede si potesse apprendere attraverso l’ascolto, a Monreale ho capito che la fede si apprende anche attraverso la visione, attraverso gli occhi”.

Nel Duomo di Monreale si coniugano perfettamente l’arte visiva con la Sacra Scrittura; la Liturgia, con la geografia, il tutto amalgamato dai valori che identificano la tradizione ecclesiale. Questo in una sintesi armonica realizzata dai benedettini che per primi furono chiamati a completare il monastero di Monreale e poi a celebrare le funzioni sacre in Duomo.

Ma la Sicilia non è solo un tempio a cielo aperto, talvolta si trasforma in una zattera di pietra che punta verso tre continenti e non sa che direzione prendere. In questa atavica indecisione si creano contraddizioni pericolose, risacche di cui si alimenta un cancro antico, qual è il fenomeno mafioso, con cui ancora occorre fare i conti.

E i conti, con questa mentalità criminale, li ha fatti più volte Mons. Pennisi. Seguendo un’antica tradizione che ha visto gli uomini di Chiesa opporsi aspramente al fenomeno mafioso, anche l’Arcivescovo di Monreale ha dovuto combattere contro chi ha usato la violenza per guadagnarsi l’omertà, creando un impero che più volte ha imbrattato di sangue le strade siciliane.

L’impegno di Mons. Pennisi si rinnova ogni giorno con l’educazione dei fedeli ai valori evangelici, in particolare ai valori dell’amore e della giustizia, di cui fa parte anche il valore della legalità.

Come Vescovo di Piazza Armerina prima, così come Arcivescovo di Monreale poi, S. Ecc. Pennisi non si è limitato a predicare parole di Amore e Fede, ma è andato molto oltre. E’ noto il suo impegno per risanare le feste di paese, fin dentro le confraternite religiose, dove è stato necessario rimuovere le infiltrazioni di uomini d’onore, affermando in ogni congregazione il primato della legalità. Sono molti i convegni sul tema da lui organizzati, molto l’impegno profuso perché grandi risorse, quali sono le confraternite, non finissero assoggettate e quindi veicolassero una subcultura mafiosa.

“Ho condannato con decisione la mafia e tutte le forme di delinquenza organizzata che non sono il vero volto della Sicilia. La Sicilia è una terra bellissima, però ricca di contraddizioni derivate da uno sviluppo distorto. Quando la mafia s’insinua nell’economia e nella politica ciò che ne consegue è uno sviluppo solo apparente, una falsatura dell’ordine delle cose che si paga a caro prezzo. Ho sempre sostenuto come si debba coniugare assieme lo sviluppo dell’economia e la moralità, quindi la legalità, perché senza dei valori morali, che poi sono i valori evangelici, non è possibile alcuno sviluppo armonico integrale”.

Ma c’è di più. Nel febbraio 2008 gli è stata assegnata la scorta. Pochi mesi prima aveva rifiutato di celebrare il funerale di un boss mafioso dentro la sua Cattedrale di Piazza Armerina. A seguito di quel diniego, fu bersaglio di intimidazioni e gli venne recapitato un volantino con minacce di morte. Le cronache siciliane riferiscono di come questo suo impegno contro le organizzazioni criminali abbia trasformato la Diocesi di Piazza Armerina in un “motore antimafia”.

In questo suo impegno per la legalità, Mons. Pennisi segue il sentiero che la Chiesa ha da sempre indicato. Suonano come profondamente attuali le parole di San Giovanni Paolo II, quando nel 1993 in visita ad Agrigento gridò ai mafiosi di tutte le organizzazioni criminali invitandoli a convertirsi.

“Il grido di San Giovanni Paolo Secondo è stato fondamentale per dare un messaggio forte a tutto il mondo, perché questo messaggio che ha raggiunto tutto il mondo. Questo grido non è rimasto inascoltato. Per esempio, il Parlamento della Legalità Internazionale ha iniziato il suo impegno proprio da quest’appello alla conversione fatto da San Giovanni Paolo Secondo. Molto è quindi cambiato. Nelle scuole si è visto questo fenomeno di cambiamento: se prima le nuove generazioni erano indifferenti o succubi della mentalità mafiosa, adesso le nuove generazioni contrastano e respingono la mafia, perché capiscono che la mafia è qualcosa d’immorale, qualcosa che non favorisce lo sviluppo e la realizzazione delle persone. Nel corso degli anni si sono sviluppati tutta una serie di eventi e di documenti, anche dell’Episcopato siciliano. L’ultima presa di posizione in questa direzione è stata una lettera pastorale collettiva, nel venticinquesimo dell’appello di San Giovanni Paolo Secondo in Agrigento, in cui noi vescovi abbiamo parlato dell’attualità dell’appello del Papa, dell’invito alla conversione che deve riguardare tutti e abbiamo detto che la mafia è inconciliabile con i valori evangelici e abbiamo invitato i mafiosi a convertirsi”.

Nessuno può entrare nell’intimo delle coscienze degli uomini, ma i risultati di quest’impegno a sconfiggere la mentalità mafiosa ha dato i suoi frutti anche tra uomini appartenenti alle famiglie criminali. Le cronache riferiscono di alcuni mafiosi che, dopo essersi macchiati di crimini gravi come l’omicidio, hanno trovato la forza per iniziare un percorso di conversione. Per citarne uno, si pensi all’assassino di Don Pino Puglisi che è deciso di fare questo cammino. Fu proprio lui a riferire che il sorriso di Don Pino gli era rimasto dentro, facendolo meditare e costringendolo ad abbracciare una via di redenzione e di Fede.

“La conversione non può essere soltanto qualcosa d’intimo, si deve manifestare anche con dei segni esterni, come per esempio segni di pentimento, di riparazione del male fatto e d’impegno per percorrere una vita nuova”.

Oltre a San Giovanni Paolo II c’è un altro Pontefice con il quale Monsignor Pennisi ha un rapporto particolare. Si tratta di Papa Benedetto XVI. Fu, infatti, lui a nominarlo Arcivescovo di Monreale nel 2013. Di questo quest’uomo Sua Eccellenza Pennisi conserva un personale ricordo, un’immagine tessuta con fili pregiati, una memoria ottenuta intrecciando ammirazione e profonda umanità.

Se molte persone del Papa benemerito hanno un’immagine distorta, influenzata da una certa stampa che arrivò ad apostrofarlo persino come il Pastore Tedesco, ponendo in evidenza una durezza nei tratti e una certa rigorosità nel carattere, Monsignor Pennisi ci consegna un Benedetto XVI di tutt’altro spessore.

“L’ho trovato una persona molto gentile, una persona molto amabile, preparata intellettualmente; un uomo capace di trasmettere i valori del cristianesimo con molta umanità, capace di trattare gli aspetti problematici della dottrina cristiana. Papa Benedetto ha detto che il cristianesimo non è un insieme di dottrine o di precetti morali, ma è il punto d’incontro con Cristo. Questo mi ha sempre colpito, la sua capacità di analizzare la dottrina cristiana finanche nelle sue apparenti contraddizioni, sempre con molta competenza e umanità. Lui non è solo un uomo di profondissima fede, di enciclopedica cultura teologica, ma è anche molto attento alla produzione artistica, alle arti intese a tutto tondo, amante della pittura e della musica. In lui riconosco una gentilezza nel tratto che magari non è stata colta da lontano. Chi si è accontentato dell’immagine presentata dai mass media, l’ha pensato come un Papa distante, invece era un Papa molto affabile, molto vicino alla gente”.

Andando oltre i ricordi e venendo a trattare del difficile momento di crisi che stiamo vivendo, l’Arcivescovo di Monreale ha a cuore le difficoltà che i giovani stanno incontrando in una società che sembra non interessarsi delle nuove generazioni. Spesso la politica trascura le necessità dei più giovani, senza impegnarsi a offrire una prospettiva di avvenire che sia capace di tutelare e motivare i ragazzi che si apprestano a entrare nell’età adulta.

Sono molti i giovani che si trovano in difficoltà, che si vedono costretti, soprattutto nell’Italia meridionale e in Sicilia in particolare, a lasciare la loro terra per tentare di costruirsi un futuro altrove. Occorre raccogliere la richiesta di aiuto che proviene oggigiorno dalla gioventù, occorre investire su progetti concreti che possano indicare una via diversa dallo scappare dalla propria terra, sradicando migliaia di giovani vite per tentare di trapiantarle altrove, quasi non ci fosse altra scelta alla vita da migrante.

Su questo punto Sua Eccellenza Pennisi sprona i giovani a essere parte della soluzione del problema. Certamente esiste una difficoltà oggettiva, ma i ragazzi non possono che essere portatori di speranza. Non di un sentimento astratto, che si rivela spesso sterile e per questo più frustrante, bensì di una rivoluzione nel modo di approcciarsi alla vita, di una ricerca concreta che deve iniziare con il loro personale impegno.

“I giovani non possono aspettarsi che il bene sia calato dall’alto. Loro devono impegnarsi in prima persona per costruire questo futuro attraverso un impegno culturale e lavorativo, ma anche attraverso l’approfondimento della fede. Noi abbiamo in Diocesi, ma anche in tutta Italia, il cosiddetto progetto Policoro, che vuole educare i giovani, a partire dal Vangelo, a una cultura del lavoro, a una cultura operativa, per uno sviluppo integrale dei nostri territori. Io voglio spronare i nostri giovani ad avere coraggio e, come dice Papa Francesco, li invito a non accomodarsi nei salotti, a non state nei balconi della vita, ma a scendete per le strade e per le piazze, a essere in prima persona testimoni dei valori evangelici dell’amore, della giustizia, della libertà e della ricerca della verità”.

Certo l’impegno dei giovani, seppur fondamentale, non può da solo bastare. Occorre ripensare al sistema economico in cui viviamo. L’economia non può essere un valore fine a se stesso, non si può pensare che il profitto sia l’unico obiettivo da perseguire. Diversamente dal paradigma con cui siamo soliti declinare la nostra visione di produttività e di benessere, l’economia non è il valore primario. Essa dev’essere governata dalla morale, dev’essere pensata per produrre un benessere diffuso ed eticamente giusto.

“Don Luigi Sturzo, su cui ho fatto la tesi di Dottorato, scriveva che l’economia senza morale è diseconomia. E’ allora fondamentale che l’economia sia riempita di valori morali, affinché la si possa mettere al servizio dell’uomo, di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Dobbiamo essere artefici di un mondo nuovo che non si basi solo sul profitto, abbiamo urgente bisogno di un’economia del dono, come diceva Benedetto XVI. Dobbiamo tutti impegnarci perché in essa ci sia spazio per la partecipazione popolare, affinché il popolo si senta protagonista anche nelle scelte economiche. Dobbiamo tutti costruire un mondo nuovo dove l’economia non venga governata solo da poteri forti, ma sia al servizio dell’uomo”.

In questo percorso di umanizzazione dell’economia è impegnata tutta la Chiesa. Papa Francesco ha lanciato un incontro ad Assisi, proprio per riunire gli economisti interessati ai valori cristiani affinché possano ridisegnare il modello con cui si produce ricchezza nel mondo. A causa della pandemia, l’incontro non ha avuto luogo quest’anno, ma la sfida è stata lanciata già da qualche tempo e sono sempre di più gli imprenditori fautori di questo nuovo progetto, sempre di più le persone che aderiscono all’invito del Santo Padre per ripensare l’economia secondo i valori evangelici. Se non si procederà su questo cammino, non avremo mai lo sviluppo integrale di tutti i popoli, obiettivo di tutta la Chiesa e traguardo su cui Monsignor Pennisi si è da sempre tanto impegnato.

Mentre si procede su questa strada, ci si rende conto che il dialogo è tutto. Sia per individuare una soluzione concreta ai problemi dei nostri giovani e delle nostre famiglie, sia per ridisegnare un’economia umana, capace di sostenere anche gli ultimi, senza abbandonarli a situazioni di degrado. Ma il dialogo è tutto anche tra le diverse confessioni di fede. Il dialogo interreligioso, la capacità di comunicare efficacemente e di confrontarsi produttivamente con coloro che si riconoscono in un cristianesimo non cattolico o che abbracciano una scelta di fede del tutto diversa è un argomento centrale per la Chiesa Cattolica, un percorso intrapreso da decenni, su cui sopratutto San Giovanni Paolo II si è molto speso.

Su questo punto c’è una curiosità interessante che riguarda proprio la Cattedrale di Monreale. Fino a qualche tempo, nel Museo Diocesano, era custodita un’Icona. Si tratta dell’Icona dell’Odigitria che, secondo la leggenda che si è tramandata nell’Abazia, è stata donata da Re Guglielmo al Duomo. Questa importante Icona, coeva alla costruzione del Duomo, è molto venerata dagli ortodossi, soprattutto dai russi.

“Sono stato io a decidere di spostarla in cattedrale, proprio in occasione di un convegno che abbiamo tenuto con una delegazione di artisti provenienti da Mosca. In quell’occasione ricevemmo in visita una delegazione russa, tra cui alcuni delegati del Patriarcato di Mosca. Da allora l’Icona Odigitria è rimasta in Duomo. Voglio che possa essere venerata dai nostri fedeli e voglio offrire la medesima occasione ai fedeli russi e ortodossi quando vengono a visitare il nostro Duomo”.

Il dialogo tutto, anche quello interreligioso, è fatto anche di cose come queste; di piccoli gesti pregnanti e concreti. Certo occorre avere la giusta sensibilità e un profondo senso d’umanità. Son queste doti di cui non difetta Sua Eccellenza Monsignor Pennisi, devoto Arcivescovo di Monreale.

Giovanni Rodini