Logo




L’editrice di Mundi, la Dottoressa Margherita Chiara Immordino Tedesco, ha incontrato il Professor Enrico Mairov, docente in diversi Atenei tra cui L’Università degli Studi di Milano e l’Università degli studi di Roma Tor Vergata; un uomo che ha combattuto per lo Stato di Israele nei reparti speciali e nella sanità militare.

Il Professore è anche il fondatore e presidente della nuova UDAI 10.0, l’Unione Democratica degli Amici di Israele. Quel 10 che segue le quattro lettere che danno nome all’Unione, si riferisce ai dieci comandamenti, quel dettato di regole e buone maniere che indicano il cammino agli uomini di fede.

Un lungo cammino, fatto anch’esso d’impegni e sacrifici, è quello che la fondazione retta dal Professore ha deciso di percorrere. Una strada che porta alla ricerca di tutte le possibili collaborazioni che avvicinino il mondo a Israele. In ultima analisi, una missione tesa a rimuovere le barriere culturali e i pregiudizi atavici di cui è ancora vittima Israele, per cercare insieme di dar forma al progresso, affinché sia reale e produca benessere, evitando di impantanarsi in un futuro infruttuoso quando non anche pericoloso.

L’incontro tra i due è servito a porre le basi per un’auspicabile cooperazione internazionale tra le due fondazioni e per iniziare a definire futuri progetti di ricerca tra i centri di eccellenza israeliani e la fondazione maltese di cui la Dottoressa è fondatrice ed editrice.

Il Professore Mairov, oltre ad avere un curriculum accademico di primo piano, ha da anni consolidato un’importante collaborazione con il Weizmann Institute of Science – nella persona della Professoressa Ruth Arnon – e con la Società Italiana per la Lotta alla Sclerosi Multipla, dove ha lavorato per diversi anni a fianco della Professoressa Rita Levi Montalcini.

E’ grazie a persone come queste che la scienza medica e la ricerca sono arrivate a livelli tanto avanzati. Oggi si stanno facendo cose fino a qualche anno fa impensabili e in pochi sono aggiornati sui progressi raggiunti ogni giorno. Ma continuamente ci sono farmaci nuovi, batteri alterati, virus elaborati; continuamente vediamo, cioè, i risultati delle scoperte che vengono fatte.

Tra i tanti problemi ancora da affrontare, c’è soprattutto quella situazione paradossale e preoccupante che caratterizza la ricerca scientifica degli ultimi cent’anni. Nel IXX secolo, per quaranta o cinquant’anni, lo sviluppo scientifico dell’innovazione è stato molto razionale: dovevamo scoprire cose nuove e lo abbiamo fatto.

Nel ‘900, poi, la ricerca si è perfezionata e il ritmo del progresso scientifico è aumentato considerevolmente, ma paradossalmente abbiamo iniziato a usare le scoperte scientifiche per farci del male. L’energia nucleare non è stata utilizza per andare su Marte, ma è stata impiegata nella produzione di bombe atomiche; la meccanica è servita a fare carri armati e così via. Da cent’anni siamo davanti a un’anomalia, per cui un percorso di ricerca che ci avrebbe dovuto permettere di scoprire cose utili, ci ha condotti a produrre cose dannose per l’umanità.

In questo contesto molti i grandi nomi, grandi ricercatori ed accademici, hanno invertito un percorso iniziato mille anni fa e si sono prestati a usare i loro talenti e i loro saperi al servizio di qualcosa di molto pericoloso. Serve qualcosa che educhi la gente a pensare. Più noi investiremo nello sviluppo intellettuale dell’umanità, meno pericoli avremo.

Il Professore è dell’opinione che dobbiamo assolutamente invertire una piramide che oggi poggia sulla testa. Se noi ricostruiamo la scuola, l’università, la ricerca, se ci impegniamo a essere divulgatori di una comunicazione corretta e precisa, allora inaugureremo un cammino diverso, che non ci metterà nelle mani dei creatori di falsità, di fake news, come invece accade oggi.

A questo occorre aggiungere che noi non abbiamo strateghi in grado di gestire una guerra o una situazione pandemica come quella che stiamo vivendo in questo momento. Non li abbiamo perché chi è entrato in politica negli ultimi decenni, doveva essere pacifista e antimilitarista a ogni costo. Ora che servirebbero persone in grado di muovere eserciti, strateghi capaci di combattere un nemico, siamo rimasti senza uomini che siano in grado di farlo.

Ma parlare in questi termini pare quasi una bestemmia. In giro si sentono contorte teorie di fantasiosi complotti e, invece, il mondo è sempre stato gestito da fattori economici, non da forze occulte che manovrano alle spalle della gente. Solo che, una volta, nel mondo occidentale il senso di patria o di nazione era sentito diversamente. Oggi dirsi patriottico o nazionalista sembra davvero una bestemmia.

E’ proprio in questo momento in cui la politica ha trasformato gli spazi pubblici in spazi pubblicitari, aprendo il fronte al relativismo assoluto, dove si può dire tutto e il contrario di tutto, che occorre ribadire alcuni punti fermi, senza i quali la specie umana rischia l’estinzione.

Tra queste pietre angolari occorre fissare il concetto che la vita in comunità ha bisogno di tre elementi strategici per sopravvivere. Un fortissimo esercito per i nemici esterni, una fortissima polizia per i nemici interni e un sistema socio sanitario che funzioni perfettamente. Queste sono le tre roccaforti della difesa dell’essere umano. Tutte e tre devono funzionare rispettando regole democratiche, con grande trasparenza e cooperazione, ma anche con una preparazione solida e perennemente aggiornata, perché essere superficiali in tema di gestione delle conoscenze, porta a risultati pericolosi.

Occorre capire che noi non siamo vacanzieri su una nave, non siamo dei turisti che vivranno in eterno. Certo, nemmeno dobbiamo vivere preoccupati, ma occorre un sistema politico in grado di produrre a tutti i livelli quello che serve ai cittadini.

Per quanto riguarda il sistema sanitario, che è poi il campo di specializzazione del Professor Mairov e una parte importante dell’agire della Fondazione Mundi, è fondamentale comprenderne il funzionamento, per riuscire ad ottenere risultati sempre migliori. Il sistema sanitario consta di tre settori principali: l’ospedale, la comunità, ossia il territorio, e le strutture intermedie.

Per trattare degli ospedali, pare evidente come negli ultimi cinquant’anni essi abbiano assistito a un’anomalia. Ogni persona che si alza la mattina e ha 37,5 di febbre, cui gira un po’ la testa o ha un po’ di nausea, prende e corre in ospedale. E questo è il più grande errore che ha fatto l’umanità, perché l’ospedale serve per altre cose.

In particolare, l’ospedale ha tre funzioni. Se c’è un incidente stradale grave, se è in corso un infarto, se c’è un’inondazione, un terremoto o qualsiasi accadimento molto grave, ecco che l’ospedale ha la funzione di prestare soccorso. Si portano lì i pazienti e gli si salva la vita. Ma solo loro, non chiunque abbia un malanno.

La seconda funzione di un ospedale è quella di fare interventi programmati. Che sia un intervento chirurgico o una terapia per i malati di cancro o per altre patologie.

La sua terza funzione è quella di fare ricerca e didattica.

Queste sono le tre funzioni cui assolve un ospedale e per tanto sono anche i tre ordini di motivi per cui recarvisi. Diversamente non si deve andare in ospedale, perché è dannoso e pericoloso.

La comunità, il secondo pilastro di un sistema sanitario, è il luogo in cui nascono le malattie. Negli ultimi cinquant’anni, grazie ai trattamenti e le differenti terapie, per cardiopatici, diabetici o ipertesi, solo per citarne alcuni, la durata della vita ha iniziato ad allungarsi sensibilmente. Ora ci stiamo avvicinando ai cent’anni. Ma queste persone possono essere curate a casa, sempre o quasi. Uno se ne sta meglio se resta a casa sua e si mette anche al riparo dal rischio di contrarre nuove malattie come invece accade in ospedale.

Poi ci sono le strutture intermedie che sono adibite alle emergenze. Sono strutture pensate e nate in Israele che poi sono state esportate in tutto il mondo e si occupano di prestare soccorso in caso esclusivo di emergenza. Stiamo parlando d’infarti, incidenti stradali e cataclismi come già richiamato prima. In questi casi si chiama il numero predisposto alle emergenze, 118 o un altro a seconda del paese in cui ci si trova, e se chi risponde ritiene che si tratta di un’emergenza, manda un’ambulanza, intensiva o normale, che accompagna la persona in ospedale. Tutto qua. Stiamo parlando del 7%-8% delle chiamate al sistema sanitario.

Invece, quello che si fa oggi, è portare al pronto soccorso la quasi totalità di chi chiama l’ospedale. E’ quello che abbiamo visto succedere anche con il coronavirus. Questo avviene perché lì sul territorio non c’è niente. Così succede che l’emergenza intasa le strutture di pronto soccorso, perché tutti le chiamano; tutte le ambulanze vengono fatte uscire per trasportare chi ha chiamato e, quando le ambulanze finiscono, finiscono. Non abbiamo un’ambulanza per ogni cittadino! Per come siamo messi oggi, chi arriva in ospedale, deve aspettare per intere ore il suo turno, esponendosi così a virus e batteri che sono molto diffusi dentro gli ospedali.

In Israele è esattamente il contrario. Si fa tutto sul territorio, con medici di base e specialisti. Questa è la grande differenza tra Israele e il resto degli altri paesi. La moda di accentrare tutto attorno alle strutture ospedaliere è nata in America dove ci si è convinti che sia utile un ospedale in ogni quartiere. Ora succede che chiunque abbia un mal di testa si reca in ospedale, invece di chiamare il proprio medico che, ragionevolmente, gli consiglia una tachipirina, facendo scomparire il mal di testa senza bisogno di andare da nessuna parte.

Israele ha optato per la creazione di un sistema sanitario, mentre negli altri paesi si è scelto di creare servizi sanitari. In Israele, a fianco dell’emergenza, esiste la cronicità, ciò che succede abitualmente e che non ha bisogno di essere trattato in ospedale, ma che può essere risolto efficacemente per telefono. Alla creazione di un sistema sanitario come questo sarà bene pensarci, perché, purtroppo, anche quando passerà il corona, ci saranno altri attacchi all’umanità.

Di questi attacchi bisognerà tenerne conto, perché non c’è dubbio che prima o poi li dovremo affrontare. Si tratta di attacchi batteriologici, virologici, come anche chimici. Siamo quasi otto miliardi di persone e molte, in giro per il mondo, sono insoddisfatte. Basti pensare a quello che è successo negli ultimi anni con l’Isis. Quando qualcuno si alza la mattina e decide di venire in mezzo a noi a suicidarsi, che sia islamico o altro, se tu lo uccidi, gli fai un piacere.

Su questa linea di ragionamento, basti pensare che cosa succederebbe se una persona così decidesse di recarsi in Africa e di avvicinarsi a un pozzo in una regione dove c’è l’ebola. E’ un’ipotesi che potrebbe facilmente verificarsi, e le cui conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Il corona non è l’ebola, è un virus influenzale che uccide l’1% dei malati. Se di corona s’infetteranno otto miliardi di persone, ne moriranno ottanta milioni, che sono ben poca cosa. L’ebola uccide l’80% della popolazione ed è chiaro che i numeri sarebbero da catacombe. Poi certo, ogni morte è un lutto profondo, ma stiamo parlando in termini statistici.

Quello che stiamo vivendo oggi è un’opportunità per capire che per non vivere preoccupati, dobbiamo vivere preparati. Quando noi avremo un sistema in cui l’ospedale fa l’ospedale e il medico di famiglia potrà seguire i propri pazienti da casa, soprattutto i suoi pazienti cronici, mentre le strutture intermedie, coadiuvate dal mondo del volontariato, funzioneranno occupandosi delle emergenze, quelle reali, allora avremo un quadro ben diverso da quello attuale.

Entrambe le fondazioni sono convinte che questa sia la strada da seguire. C’è inoltre una lunga e importante tradizione di cooperazione tra Italia e Israele. Molti progetti sono stati sviluppati grazie all’aiuto di Israele, come il 118 e la gestione dell’emergenza. Insieme si sono fatte grandi cose, ma purtroppo non è stato completato il sistema sanitario.

Con il Vaticano, invece, i rapporti sono ancora più stretti. Il Professor Mairov ricorda un aneddoto molto tenero e al contempo importante che evidenzia il legame profondo tra questi due mondi:

“Mi piacerebbe raccontarle di Papa Wojtyla, che è stato un gigante dell’umanità e un uomo di cui oggi si sente moltissimo la mancanza. Lui aveva visto la guerra e sapeva cosa siano le tenebre. Quando arrivò a Varsavia ed era un giovane ragazzo che doveva studiare all’università, non aveva soldi. Conobbe Michael Sela, un giovane appartenente a una ricchissima famiglia ebrea. I due divennero amici e vissero insieme in uno degli appartamenti di Sela. Tra l’altro Wojtyla studiò all’università grazie a questo aiuto.

Quando poi i tedeschi iniziarono con le loro barbarie, Wojtyla prese la famiglia di Michael e altri amici ebrei e li nascose in Cracovia in un monastero, dove li tenne per quasi cinque anni. I due restarono molto amici. Michael Sela andò in Israele e fece l’Istituto Weizmann mentre Karol si trasferì in Vaticano. Dopo la sua elezione a Papa, Wojtyla chiamò il suo amico Michael e lo nominò Presidente del Pontificio Consiglio per la Ricerca. Da lì in poi i due si videro almeno per due volte l’anno e quando questo accadeva, parlavano in polacco, tra gli sguardi curiosi dei Cardinali che non riuscivano a capirli”.

Partendo da questo episodio, dobbiamo capire che la piattaforma ebraico cristiana, che rappresenta un faro di cultura e conoscenza in tutto il mondo, ha bisogno di essere nutrita, per riprendersi la leadership dell’umanità. Dobbiamo costruire insieme un percorso sociale globale.

L’Italia, in un certo senso, è avvantaggiata, perché il Vaticano ha tre milioni cinquecento mila punti sanitari sparsi per il mondo, pertanto basta unire le forze e la soluzione sarà a portata di mano. Non dobbiamo, infatti, dimenticarci che esiste già un sistema sanitario molto efficiente: quello della Santa Sede, che con i suoi oltre trecento ordini è una rete enorme.

Per capire in che modo dovrebbero essere strutturati i sistemi sanitari del futuro, è sufficiente analizzare come sono andate le cose con la crisi del coronavirus negli ultimi mesi. Senza perdersi in voli pindarici, la prima considerazione che dobbiamo fare è questa: tutto quello che sappiamo è che su questo virus non sappiamo niente.

Non ci sono dati. I dati vengono elaborati, raccolti e analizzati adesso che siamo nel mezzo di quest’attacco virale. Si sa molto poco, anche se già in questo momento ci sono dei protocolli terapeutici che riescono a fare qualcosa.

Dal canto loro, gli israeliani stanno facendo sperimentazioni su un vaccino sintetico scoperto dalla Dottoressa Ruth Arnon. I risultati arriveranno a fine settembre, inizio ottobre. Se, come tutti speriamo, questo vaccino sintetico funzionerà, allora il problema dell’influenza non esiterà più. Se questa soluzione sarà attiva, efficiente ed efficace, vorrà dire che non ci sarà più necessità di farsi un vaccino contro l’influenza ogni anno, ma l’umanità potrà farlo una volta ogni cinque o dieci anni, per cui si tratterà di una rivoluzione in campo medico.

Non resta che aspettare per verificare se questi dati saranno confermati con efficienza ed efficacia superiori al 85%. Sono stati quarantamila i volontari che in cinque anni hanno partecipato a questa sperimentazione. Dobbiamo confidare in un buon esito, perché, come detto, con questo vaccino il virus dell’influenza cesserà di esistere come un pericolo mortale.

Da qui si aprirà il discorso sul corona, che è anch’esso un virus influenzale, anche se per molti versi anomalo. Molto probabilmente siamo di fronte a un virus che non è nato nella natura.

Su questo aspetto occorre essere molto cauti, ma resta comunque il fatto che nessuno si può fidare ciecamente dei dati forniti da un sistema non democratico, come di fatto è quello cinese, dove l’informazione non è trasparente come da noi. Non abbiamo prove ma è ovvio che ci sia qualcosa di molto strano.

L’ipotesi di una creazione del virus in laboratorio non deve stupire più di tanto. Tutti i paesi al mondo fanno armi di distruzione di massa. Bombe atomiche, armi chimiche e biologiche, oppure ancora armi di mutazione genetica. E le fanno perché tutti sperano di poterle esibire sul tavolo delle trattative per non soccombere. Americani, russi, francesi, inglesi, cinesi, tutti sperano di poter avere queste armi per essere ritenuti superpotenze.

Oggi le armi non sono più la fanteria, i carri armati e gli aerei. Quelle si usano per operazioni di pulizia. Per tutto il resto si usano armi di distruzione di massa. Gli esempi non mancano. Basti pensare a quelle usate in Medio Oriente da parte di Saddam Hussein, contro i curdi e gli iraniani, da parte degli egiziani negli anni ’60, o di nuovo in Medio Oriente, così come sono state usate da Assad negli ultimi anni contro chi combatteva contro di lui.

Che poi il problema non è dato solo da quelli che le usano, il problema è chi gliele fornisce. Occorre che questo incidente del corona presenti un conto salato ai politici delle grandi potenze e che li costringa a riflettere su quanto queste armi siano pericolose. Non possono assolutamente essere utilizzate in questo modo.

Continuando l’analisi a caldo della crisi che il corona ha aperto a livello planetario, occorre soffermarsi su alcune anomalie che hanno accompagnato tutta questa vicenda.

Sono, infatti, molte le cose che non tornano. Innanzi tutto occorre ricordare che l’umanità, più va avanti con l’età, più incontra virus e batteri, ossia si immunizza. In questo caso quelli che avrebbero dovuto essere più immunizzati, perché da più tempo in vita e da più tempo in contatto coi virus, sono quelli che si stanno ammalando e morendo. Gli anziani avrebbero dovuto essere i più immunizzati contro il virus, ma così non è stato.

Un altro aspetto discordante è che i cinesi sostengono che lì, dov’è nato tutto, ci sono stati ottomilaottocento morti in sei mesi; quando in Lombardia, molto lontano da dove sono successe le cose, sono morte più di ventimila persone in soli due mesi. Quanto meno è un dato curioso, come molti altri, ma considerando che in Cina hanno scelto di blindare città intere con l’esercito, nessuno è in grado di dire cosa sia successo per davvero.

Occorre sostituire questa società così carente di conoscenza, questo mondo dell’infantilismo, e formare persone consapevoli, che sappiano distinguere il falso dal vero, che abbiano la maturità per capire che non si può vivere solo di divertimenti e illusioni. Tutto questo però deve iniziare a scuola. Ci sono cose che sappiamo da sempre sul vivere in comunità e una di queste è che per governare un popolo occorre che questo sia intelligente e preparato. Altrimenti cosa governiamo?

Invece, per non pensare alle cose serie, per non pensare alla morte stessa, la gente compra cose inutili e passa tutto il suo tempo a rincorrere l’evasione. Questa fuga dalla realtà, se persisterà in queste forme, segnerà la fine dell’umanità. Se noi ci allontaneremo ancora per molto dal sapere, e faremo finta che i pericoli non esistano, non potremo fare altro che soccombere sotto il peso di tutti i problemi che abbiamo ignorato. Bisogna riportare la gente a una conoscenza matura e profonda, senza questo passaggio non ci sarà futuro.

Nel mondo ebraico si pensa che in ogni generazione ci sono 36 giusti grazie ai quali il mondo va avanti. Il problema è che nessuno li conosce. C’è bisogno che ci sia sempre un giusto che faccia ciò che serve per permetterci di andare avanti. La vita è molto più complicata di quello che pensano i bambini che hanno creato questo mondo. Se non si abbandona questa dottrina di perenne gioco e divertimento ci troveremo in problemi davvero seri. Se tutti giocano, chi fa il giusto? In ogni campo, s’intende.

Per esempio in economia. Siamo sicuri che il sistema finanziario serve a creare benessere? Noi oggi abbiamo un benessere fasullo, un benessere di carta, un benessere della borsa. Ci sono delle persone che stanno giocando a fare soldi senza produrre niente. Questo non può essere tollerato, perché così si costruisce un mondo in cui tutti siamo sul Titanic.

Anche nel febbraio di quest’anno il mondo occidentale era imbarcato sul Titanic. Tutti avevano le case in città, le case in campagna o al mare. Da dove venisse quel benessere pareva non importare, era quasi qualcosa di dovuto. Poi, quando è arrivata l’emergenza, ci si è resi conto da subito che mancavano i fondi per affrontarla.

Non si sta dicendo che occorra vivere nella paura, semplicemente occorre sapere con cosa si ha a che fare. Non sappiamo che cosa ci aspetta ma conosciamo la lista dei pericoli e dovremmo essere preparati, perché qualora dovesse succedere qualcosa, si riesca ad affrontarla con maggiore efficacia.

Da qui è importante capire che cosa non ha funzionato nella gestione dell’emergenza degli scorsi mesi. Le persone con precedenti problemi come diabete, ipertensione, asma o insufficienza cardiaca non sono morte perché si è sbagliato a intubarle. Ora va di moda il discorso che ci mancano ottomila anestesisti. Prima di tutto, se noi non siamo pronti per l’emergenza, non ci mancano ottomila anestesisti, ci manca tutto. La programmazione di quanti anestesisti, quanti medici e quanti posti letto ci devono essere, non è una decisione economica, è una decisione biologica e di conoscenza. Perché i soldi ci sono. Bisogna però vedere come vengono spesi, chi li spende e per cosa.

Occorre capire quali tipi d’interessi si muovono, sempre sapendo che il principale interesse che dev’esserci è la sopravvivenza della nostra specie nel miglior modo possibile. Vivere sempre più a lungo e bene dev’essere il fine ultimo del nostro agire nelle attività medico sanitarie. Questo purtroppo non succede nei grandi ospedali, che pure sono importanti e fanno un lavoro prezioso. Serve un grande ospedale con trauma center per un milione di persone, non dieci strutture in competizione tra di loro. Poi certamente servono tanti primari sul territorio, tutti legati al grande ospedale, perché devono con lui perennemente dialogare e insieme studiare in continuazione.

In tutto questo occorre anche chiedersi che fine abbia fatto il medico di famiglia. Come mai è stato escluso dal funzionamento del sistema sanitario e ora si è ridotto a scrivere ricette mediche? Forse nel business più grande al mondo, quello della sanità, qualcuno ha ritenuto di puntare tutto sugli ospedali, dimenticandosi delle lacune che quest’ambizione avrebbe creato a livello locale. Perseguire il profitto può portare a scelte miopi come queste. Come detto, in Israele il medico di famiglia rappresenta un pilastro di tutto il sistema sanitario, non solo come filtro che sgrava il lavoro degli ospedali, ma come vero e attore principale nella gestione della sanità nazionale.

Questo perché già nel secolo scorso sapevamo che i farmaci che si stavano scoprendo avrebbero allungato di molto la vita media dell’umanità e non sarebbe stato molto lungimirante ridurre l’operato dei medici di base a un lavoro da amanuensi.

In Europa e in America, invece si è fatta un’altra scelta e oggi se ne pagano le conseguenze. Per capirci, in Lombardia ci sono tre milioni di anziani che non hanno nulla che li possa proteggere, se non la badante. Prendono i loro farmaci e talvolta vivono fino a cent’anni senza che nessuno se ne occupi. Non hanno un medico che gestisca tutta l’organizzazione, non hanno il medico di quartiere, l’infermiere di quartiere o l’assistente sociale di quartiere. Perché non possiamo prendere cinquecentomila disoccupati del sud Italia, ragazzi giovani, quelli che oggi ricevono un reddito di cittadinanza senza combinare nulla, e portarli un paio d’anni a fare gli infermieri di quartiere nel nord? Imparerebbero un bel mestiere, molti di loro studierebbero poi medicina, diventando infine infermieri. Lo stesso con quelli del nord, che oggi emigrano per aprire il bar in Australia o altrove.

Se questo fosse il progetto di sicurezza nazionale e l’ossatura della sicurezza nazionale saremmo molto più avanti. Occorre avere un sistema socio sanitario molto efficiente, con antenne dappertutto, molto vigile, che in una frazione di secondo sia in grado di capire che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe.

Le polmoniti atipiche sono cominciate, così dicono, nell’ottobre dell’anno scorso. Non tutti le hanno notate, ci sono ogni anno polmoniti atipiche, ma non c’è dubbio che il virus in Europa è cominciato alla fine di febbraio. Ora, se c’è un sistema sanitario in grado di capire in una frazione di secondo che c’è qualcosa che non va, prende dieci tra i migliori biologi e li rinchiude in un laboratorio super protetto per scoprire cosa sta succedendo.

Occorre capire che, o troviamo una soluzione a questo problema, o l’umanità sparisce. Non è una questione di se, ma di quando. Questo dev’essere chiaro, non stiamo parlando della meteora che arriva ogni qualche migliaio d’anni. La tempistica è molto diversa. Noi non stiamo dicendo che dobbiamo vivere nella paura, ma dobbiamo essere forti e avere conoscenze. Invece di abbandonarli davanti alle fake news in televisione, occorre cominciare a insegnare ai giovani e alla gente queste cose.

Bisogna sostituire le fake news con cose pratiche che si basino su conoscenze solide e democratiche. E’ in questo quadro che si colloca il sistema sanitario su cui da decenni sta lavorando Israele.

Servono, infatti, conoscenze gigantesche per riuscire a creare un sistema sanitario che ci metta davvero al riparo dalle catastrofi come quella che stiamo vivendo. Serve saper coordinare i migliori ricercatori, i migliori medici e infermieri, i migliori direttori sanitari e i migliori banchieri; serve davvero molto lavoro. Coordinare l’eccellenza non è cosa facile ed è il momento che s’inizi a pensare in questi termini.

Entrambe le fondazioni vogliono essere parte della soluzione del problema, collaborando in progetti concreti che migliorino il modo di fare ricerca e il sistema sanitario in cui esprimerla. Occorre intervenire rapidamente o i prossimi leader saranno incapaci di essere le guide di cui il mondo ha bisogno. Insieme lo possiamo fare. Lo dobbiamo fare.

Giovanni Rodini