Logo




A Macondo c’è un uomo che aspetta una lettera. L’aspetta da quindici
anni. Se mai arriverà, i suoi occhi correranno rapidi sulle parole
battute a macchina e tireranno dritto fino a quando non troveranno
soddisfazione nel leggere che, quel che l’uomo ha richiesto, gli è
stato alla fine riconosciuto: una pensione per aver preso parte alla
guerra civile col grado di colonnello.
Per ora l’uomo attende ancora. Non è per una questione di orgoglio o
di principio che insiste a sperare, ma per qualcosa che pesa più
dell’amor proprio e che lui deve ogni giorno scongiurare: la fame. Il
colonnello, infatti, è ormai anziano e vive di stenti insieme a sua
moglie. Da tempo hanno iniziato a vendere i mobili di casa, aspettando
la pensione per potersi ricomprare tutto, ma ora non resta che un
orologio da muro e un quadro che ritrae una ninfa. Presto venderanno
anche quelli.
Oltre a quei due oggetti hanno anche un gallo da combattimento. Lo
hanno ereditato da Augustìn, il loro unico e oramai defunto figlio. Il
ragazzo è stato ucciso per aver distribuito stampa clandestina,
proprio mentre si trovava a un combattimento di galli.
Ogni venerdì, il colonnello si reca dove attraccano le navi, il
piccolo porto di Macondo. Il paese si raggiunge solo percorrendo il
fiume e la lancia della posta arriva una volta alla settimana. “Sul
tetto, legato ai tubi del vapore e protetto da un’incerata”, ogni
giorno di Venere, viaggia “il sacco della posta”.
Dentro a quel sacco ci potrebbe essere la busta con la lettera che lo
informa che la domanda è andata a buon fine. Ma quel giorno ancora
deve arrivare, mentre le condizioni di salute della moglie salgono su
un’altalena dalle corde sfilacciate, rischiando di farla franare a
terra. Anche il colonnello non gode di buona salute, ma al finire di
ogni settimana si reca al porto con fanciullesco ottimismo, per poi
rientrare a casa in silenzio, con quel suo “solito modo di camminare
che sembrava quello di un uomo che ritorna sui suoi passi in cerca di
una moneta perduta”.
Ma tra queste pagine, vi è molto di più di una moneta perduta. La
perdita è una protagonista silenziosa che scivola tra le parole di
questo racconto. Ci sono la guerra perduta, il figlio perduto, il
tempo perduto e il trancio di vita miserabilmente vissuto, perduto
anch'esso, ad aspettare un Godot che dorme dentro a una busta e si
rifiuta di saltarne fuori come il genio della leggendaria lampada.
Poi c’è l’attesa, quel sentimento che si nutre di romantica speranza.
Aspetta solo chi ancora crede che abbia senso stare lì ad attendere, e
non demorde solo chi ha aspettato tanto da non poter non aspettare
ancora. Intanto il tempo passa e l’immagine che ti regala lo specchio,
quando ci passi davanti, sembra suggerirti che forse hai scommesso sul
cavallo sbagliato.
Qui però non ci sono cavalli, c’è solo un gallo da combattimento. E’
l’ultimo oggetto di reale valore prima di arrendersi alla fame. Non
resta che confidare che il gallo mantenga le aspettative e riesca a
fruttare dei bei soldi di lì a pochi mesi, quando si aprirà la
stagione dei combattimenti. L’animale, però, oltre a essere una
risorsa è anche un costo; non nutrendosi d’aria, quando i soldi
scarseggiano, occorre privarsi di qualcosa per riuscire a tenerlo in
vita.
Privarsi di cibo per mantenere in vita le illusioni, è questo che fa
il vecchio colonnello. E’ forse di questo che realmente si parla tra
le pagine di Nessuno scrive al colonnello: dell’abbaglio di un uomo
che confida che non sia un miraggio quello che gli occhi degli altri
hanno già giudicato come una misera illusione.
Il finale è piuttosto celebre e non serve che io lo riporti. Ma questo
virgolettato restituisce la voglia di vivere e di andare a vedere come
va a finire la storia:
“Per adesso non devi fare altro che goderti la tua zuppa”.
“E’ buonissima”, disse il colonnello. “Da dove è saltata fuori?”
“Dal gallo”, rispose la donna. “I ragazzi gli hanno portato tanto
granoturco, che lui ha deciso di dividerlo con noi. Così è la vita”.
“Così è”, sospirò il colonnello. “La vita è la cosa migliore che sia
stata inventata”.
Gabriel García Márquez è stato uno tra i più giovani scrittori a
essere insignito del Nobel per la letteratura. Questo racconto lungo è
stato scritto a Parigi in un momento di grandi difficoltà economiche.
Il giornale per cui lavorava, e che aveva pubblicato i suoi primi
racconti, venne chiuso durante la dittatura di Pinilla e al giovane
scrittore nessuno stava più pagando lo stipendio. Questa infruttuosa
quanto sofferta attesa per un salario, che pareva impossibile più che
incerto, soffia forte dentro alle pagine di Nessuno scrive al
colonnello.
Soffia forte anche dentro alle nostre vite. Macondo non esiste, è una
città inventata dal Gabo. La città è inventata, la lettera e il suo
contenuto sono inventati, ma quell'uomo non è una finzione, lui esiste
per davvero. Quell'uomo sei tu. Sei tu che aspetti la tua lettera che
ancora tarda ad arrivare. Aspetta ancora, ché in questo consiste quel
che di meglio ti sarà dato vivere: sognare che l’impossibile stia lì
lì per realizzarsi.

Giovanni Rodini

https://www.anobii.com/giovannirodini/profile