Logo




Lo scrittore parigino Hubert si appresta a continuare il suo romanzo. Me lo vedo là, mentre si avvicina al tavolino dov'è solito scrivere. Me lo immagino con un sorriso paterno che rivolge a se stesso, come fanno quelli che scrivono e che sanno bene che, attraverso la scrittura, diverranno i figli di loro stessi. Poi accade qualcosa per cui è del tutto impreparato: il protagonista del suo libro non si fa trovare.

Sì, la sua creatura è scomparsa. Icaro, così si chiama il personaggio, si è involato da quella quindicina di fogli che aveva finora scritto. “Sui fogli, niente Icaro; tra i fogli, neppure. Cerca sotto i mobili, apre gli armadi, va a vedere nel WC: nessun Icaro! Cappello, bastone, ed eccolo fuori: chiama un calesse” e si fa portare a casa del suo amico Surget, scrittore anch'esso.

Là lo interroga bruscamente e lo accusa d'avergli rubato il suo protagonista. Si avvicina alla scrivania e solleva ogni foglio alla ricerca del suo personaggio. Ma niente, lui lì non c’è. I due parlano con più calma e ricostruiscono tutta la vicenda, poi Surget gli suggerisce di ricorrere a un investigatore privato di nome Morcol. Hubert va dall'investigatore e gli affida la ricerca del suo Icaro.

Tra le diverse chiavi di lettura con cui possiamo interpretare questo testo, ci concentriamo sul rapporto che abbiamo con i personaggi che vivono nella letteratura. Tra queste pagine si parla della vita autonoma di chi sarebbe dovuto esistere solo all'interno dei libri, ma che ne è poi evaso per iniziare a camminare nelle strade dove ci muoviamo anche noi. Si racconta delle vite d’individui che vengono al mondo senza passare dal ventre di una donna, ma che prendono forma nella mente di chi ha voluto dare loro una storia da vivere. In questo romanzo i personaggi dei racconti esistono per davvero e se ne vanno in giro conducendo le loro vite attorno a noi.

La Parigi descritta da Queneau è dunque una città vastissima dove convivono persone in carne e ossa, e personaggi che la loro carne l’hanno strappata dalla carta in cui sono stati seminati. Individui di parole, incartati con cura dalle dita di qualche scrittore, che hanno deciso di abbandonare il mondo inventato per loro, per ritrovarsi nel mondo reale.

Da qualche parte, tra queste pagine, soffia il libeccio di una domanda che ha già accarezzato altri autori: se uno di questi personaggi scappati dalle pagine di un libro ci stesse osservando e s’interrogasse circa la nostra reale natura, che cosa potrebbe concludere? Lui che conosce esattamente il suo creatore e il pertugio che gli ha permesso di affrancarsi, forse si stupirà della nostra condizione.

“ICARO: Una volta liberi, non abbiamo gli stessi desideri? Gli stessi bisogni? Le stesse facoltà? Non dobbiamo sottostare alle medesime necessità della vita?
MAITRETOUT: Una volta liberi, sì, ma rischiamo sempre di tornare a un’altra condizione, se veniamo recuperati. Non così l’altra gente.
ICARO: Che ne sappiamo? Forse è la stessa cosa. Son forse personaggi di un‘altra specie di autori“.

E’ una considerazione legittima se ci chiediamo: quant'è poi reale questa nostra dimensione? Vivevamo di virtualità già prima della diffusione dei social. Non sono forse virtuali le divinità e gli Dei dinanzi ai quali ci siamo nei secoli inginocchiati? Non è forse goffo e trascendente questo nostro Panteon d’ideali e valori, tutti troppo perfetti per essere onorati?

In questo momento, probabilmente, un altro Icaro ci sta osservando da lontano. Non verrà da noi a dirci chi è. Sorride e si tiene distante. In quel suo sorriso c’è tutta la gratitudine di un figlio, tutta la sua riconoscenza per chi ha creato mondi di parole e, attraverso quelle, ha generato vita nuova. La sua.

Giovanni Rodini