Logo




Su una parete di casa mia è appesa una piccola tela di un celebre
pittore di Roccagloriosa. Raffigura una casa stilizzata, la stessa
che potrebbe fare un bambino: un quadrato sormontato da un triangolo
senza null’altro attorno. In cima alla figura geometrica con tre
angoli, che è lì a fungere da tetto ma anche da Trinità, si tiene in
equilibrio una sfera che irradia colore e luce tutt'intorno. L’opera
appartiene a una serie chiamata La casa del Sole. Mentre leggevo
l’opera prima della Nazzareno, ho pensato molto a questa felicissima
creazione del maestro Antonio Balbi.
Ma che cosa succede se la stella perde l’equilibrio e scivola giù dal
tetto? Una possibile risposta è contenuta in questo testo scritto da
Cinzia. Il sole in fondo al cuore racconta di un padre che non riesce
a trovare il suo centro, che frana a terra ciclicamente, inciampando
sui lacci di un disagio oscuro che gli impedisce di compiere il moto
perpetuo a cui è chiamato ogni genitore.
Nel mondo della piccola Leda, l’alter ego dell’autrice, il sole sembra
un’insegna luminosa che funziona a intermittenza. Parole che non si
fanno leggere perché cattive conduttrici di energia, e insieme di
calore, si accendono a tratti brevi. Un singhiozzare di luce che si
trasforma nel singhiozzo di un pianto lungo e sofferto che condividono
madre e figlia.
Giulio il padre, il sole oscuro, è il vero protagonista di questo
romanzo. Un testo scritto con una profonda sofferenza, quasi
catartica, nel suo tentativo di cercare tra queste parole un
interruttore per accendere quel sole paterno eclissato per decenni.
Così, dentro a queste pagine, si vede una bambina che annaspa nel
buio, che procede a tentoni già nei suoi primi anni di vita, che tocca
con mano la sfortuna della sua famiglia, fino ad aprire gli occhi.
Allora, come una sonnambula che si desta, si ritrova in una casa in
cui manca il padre.
Giulio è un’efficace metafora della nostra stella. Come il sole che
arrossisce ogni sera, così fa Giulio all’indomani di ogni sua
sfuriata. Si vergogna e chiede scusa. Promette e giura che non accadrà
più, che la tempesta della sera prima non si abbatterà di nuovo contro
la moglie Carmen. Giulio sembra sincero nel suo pentimento, pare
capire che il regalo più grande che possa fare a Leda sia amare la sua
mamma. Ma, come l’insegna mal funzionante che lui è come padre, anche
la sua redenzione procede a singhiozzo, fino a quando la convivenza
diventa insostenibile e Giulio e Carmen divorziano.
Leda e suo padre si ritroveranno molti anni dopo, quando il suo sole,
divenuto nel frattempo un sole oscuro anche per una seconda famiglia,
ritornerà da lei in cerca di aiuto. Una semplice telefonata per
chiedergli di accompagnarlo in ospedale. Da qui il calvario.
Da qui anche uno dei temi forti presenti per tutta la narrazione: il
perdono. Un gesto non dovuto, non scontato. Il perdono di Leda
assomiglia molto a quello di una madre con il proprio figlio. C’è
qualcosa di profondamente materno dentro di lei, qualcosa che le è
maturato dentro quando ancora era bambina e soffriva nel respirare
quel gelo emotivo che il suo sole padre non riusciva mai a sciogliere.
Leda perdona suo padre-figlio, l’uomo che l’ha fatta maturare
precocemente, rimanendo lui invece simile a un adolescente in preda a
capricci violenti.
Non importa se lui lo meriti, la figlia perdona il padre perché è lei
che merita la pace. Assistendolo nell’incedere fragile verso la sua
fine, Leda cerca di sciogliere ogni nodo, prova ad aprire ogni
lucchetto, ogni cella, ogni porta che li abbia separati e, così
facendo, libera entrambi.
Il sole in fondo al cuore è un romanzo d’esordio, una profonda terapia
narrativa, il tentativo riuscito di raccontarsi a se stessa, di essere
la voce narrante di una storia che si deve attraversare come una selva
oscura per scoprire che il sole che si cercava di fuori non ha mai
smesso di splenderci di dentro.
Per questo dice Leda: “E conserverò come reliquia preziosa
quell’ultimo abbraccio. L’unico, in età adulta, che ci siamo scambiati
poco prima che la morte abbracciasse te per sempre”. Non c’è dubbio,
Leda, quel vostro abbraccio dura ancora.

Giovanni Rodini